ARTICOLO PUBBLICATO SU LAVOCE.INFO IL 07/07/2017
LE PAROLE DI SALVINI SUL CETA
La discussione sugli accordi commerciali non passa mai di moda nell’era del neoprotezionismo. Con l’avvento di Donald Trump è stato ufficialmente messo in soffitta l’accordo simbolo della “globalizzazione”, il Ttip (Transatlantic trade and investment partnership), trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea. Sconfitto il “nemico” numero uno della democrazia e delle piccole medie imprese europee, l’attenzione delle forze nazionaliste si concentra sul nemico numero due: il Ceta (Comprehensive and economic trade agreement), il fratello in salsa euro-canadese del Ttip che unirebbe i mercati di Unione Europea e Canada. Sul piano commerciale, come sostiene la commissione Affari esteri del Senato italiano, si stima che il Ceta aumenterà l’interscambio di beni e servizi con l’UE del 22,9 per cento. Benefici sono attesi anche per gli scambi con l’Italia, che nel 2015 è stato l’ottavo maggiore paese fornitore e il tredicesimo mercato di destinazione, con esportazioni verso il Canada per circa 7,3 miliardi di dollari canadesi. La bilancia commerciale tra i due paesi nel 2015 è stata favorevole all’Italia per circa 5 miliardi.
Contrario agli accordi di libero scambio e in sintonia con i movimenti neoprotezionisti è il leader della Lega Nord Matteo Salvini, che durante un’intervista a Porta a Porta (minuto 3.40) ha detto:
“Oggi […] in commissione Esteri al senato, Pd e Forza Italia insieme, con il voto contrario della Lega, hanno approvato l’accordo tra Europa e Canada che sostanzialmente prevede, tra le altre cose, che sulle nostre tavole arrivi il grano canadese che è trattato con la vomitossina […] e il glifosate, che è un diserbante vietato in Italia […]. Noi togliamo qualsiasi protezione, qualsiasi barriera all’arrivo di grano tossico che in Canada è permesso e in Italia no. Questo riguarda la carne agli ormoni, la carne di bisonte, la carne di suino: si toglie qualsiasi protezione, qualsiasi barriera da qualsiasi prodotto che arriva da Oltreoceano. Di più, senza tutelare il made in Italy. Il finto parmesan, il finto prosciutto e il finto grana vengono assolutamente regolarizzati. Questo sta nell’accordo Ceta”.
IL PROCESSO DI RATIFICA
La dichiarazione merita almeno tre precisazioni.
Innanzitutto, la commissione Affari esteri del Senato non ha il potere di approvare un trattato internazionale. Vale la pena spiegare brevemente qual è il processo di approvazione e ratifica del Ceta. È un accordo commerciale, dunque la sua negoziazione è stata di competenza della Commissione europea, che ha ricevuto un mandato negoziale da parte degli stati membri. Il testo finale è stato poi approvato dal Parlamento europeo il 15 febbraio 2017. Tuttavia, per l’applicazione definitiva dell’accordo si dovrà aspettare non solo la ratifica da parte del Canada, ma anche quella di tutti gli stati membri della UE, in quanto accordo misto che coinvolge competenze sia europee che nazionali. Nel frattempo, una volta ottenuta la ratifica del Canada, il Ceta entrerà in applicazione provvisoria (articolo 218 del Tfue e decisione (Ue) 2017/38 del Consiglio). Per prassi consolidata, nel caso di accordi che riguardano sia materie di competenza esclusiva dell’Unione europea che materie di competenza concorrente degli Stati membri, l’applicazione provvisoria è limitata alle sole materie che rientrano nella competenza esclusiva dell’UE. Le parti dell’accordo per cui è stata riconosciuta la competenza concorrente tra Ue e stati membri saranno applicabili solo al momento dell’effettiva entrata in vigore del trattato, ossia dopo la ratifica da parte degli stati membri e dell’Unione Europea.
In Italia, la ratifica dei trattati internazionali spetta al Presidente della Repubblica (art. 87 della Costituzione), previa autorizzazione delle camere in alcuni casi particolari (art. 80 della Costituzione). In questo caso si sono verificate le condizioni che richiedono l’approvazione delle camere. Il testo dell’accordo ha sì ricevuto un parere positivo della commissione Affari esteri del Senato, come ricorda lo stesso Salvini, ma il procedimento di ratifica necessita di un passaggio parlamentare non ancora avvenuto. In commissione hanno votato a favore il Pd e Forza Italia, contro Movimento 5 Stelle, Sinistra italiana, Misto e Lega. Adesso il testo deve superare il dibattito parlamentare per poi approdare sul tavolo di Sergio Mattarella. Quindi niente è stato ancora approvato o, meglio, ratificato.
REGOLE NAZIONALI CHE RESTANO
Il secondo punto da precisare riguarda la rimozione delle protezioni agli scambi. Il Ceta, essendo un accordo di libero scambio, prevede la rimozione del 99 per cento dei dazi doganali tra Unione Europea e Canada, già molto bassi. Negli accordi commerciali moderni, tuttavia, si cerca anche di eliminare le cosiddette barriere non tariffarie al commercio, ossia procedure, regole e norme ridondanti che limitano gli scambi commerciali. Viene fatto mediante la semplificazione delle procedure doganali, il riconoscimento normativo e altre pratiche simili. Ma gli accordi commerciali non possono modificare le normative nazionali, né tantomeno abbassare gli standard sanitari imposti da un paese. Lo ribadisce anche lo strumento interpretativo comune, un allegato del trattato: “il Ceta non indebolirà le norme e le regolamentazioni rispettive concernenti la sicurezza degli alimenti, la sicurezza dei prodotti, la protezione dei consumatori, la salute, l’ambiente o la protezione del lavoro. Le merci importate, i prestatori di servizi e gli investitori devono continuare a rispettare i requisiti nazionali, compresi norme e regolamentazioni” (punto 1.d).
Ecco perché l’invasione di Ogm, carni agli ormoni e pollo alla candeggina risulta poco probabile, come invece paventato dai più accaniti critici del Ceta, come la Commissione ci tiene a specificare (punti 26 e 30). Se in Europa o in Italia determinati alimenti (o prodotti in genere) sono proibiti, continueranno a essere proibiti.
Salvini cita poi i casi della vomitossina e del glifosate, sostanze con cui, a suo parere, il grano canadese viene abitualmente trattato e che sono vietate in Italia. La vomitossina è una sostanza naturale, prodotta da muffe che si formano su prodotti agroalimentari lungo il ciclo di crescita, tossica per l’uomo e altri animali. La sua presenza negli agroalimentari è regolamentata al livello europeo, con il regolamento 1881 del 2006. Impone che i prodotti non possano essere commercializzati, se al loro interno vengono rinvenute quantità superiori al massimo indicato. Purtroppo in Canada, per via del clima umido, la sua presenza è molto frequente.
Il glifosate è invece un erbicida particolarmente diffuso in tutto il mondo, Italia compresa. Il dibattito sui suoi effetti cancerogeni, sviluppatosi negli ultimi anni, è aperto: l’Agenzia internazionale per la ricerca contro il cancro lo ha giudicato probabilmente cancerogeno, posizione differente a quella dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Il suo utilizzo è comunque disciplinato dal regolamento europeo 1313/2016 e dal decreto del ministero della Salute del 9 agosto 2016, con il quale si è provveduto, tra le altre cose, a revocare le autorizzazioni che prevedono l’utilizzo del glifosate nelle aree frequentate dalla popolazione e durante la pre-raccolta. Infatti, una procedura utilizzata all’estero, e ampiamente criticata dagli agricoltori italiani, è quella di trattare le spighe con il glifosate, le cui componenti renderebbero il grano più proteico. Questo creerebbe una forma di concorrenza sleale per il grano italiano non trattato, che rischierebbe, secondo la stessa Coldiretti, di essere sostituito dal grano straniero. Tuttavia, l’utilizzo di glifosate in fase di pre-raccolta è vietato in Italia, come dimostra il sequestro di Bari di 50mila tonnellate di grano canadese proprio per la sua presenza e di vomitossina oltre i limiti di legge, e la regola continuerà a essere applicata anche ai quantitativi di grano importati dalle altre nazioni. Su questo punto abbiamo in realtà riscontrato un po’ di confusione: la Coldiretti sostiene che grano trattato con il glifosate è comunque importato nonostante il divieto europeo e italiano e che, dopo l’abolizione dei dazi, arriverà ancora più grano canadese, dannoso sia per i consumatori che per i produttori. Per quanto abbiamo a lungo verificato la normativa, non possiamo ancora trarre conclusioni definitive, e ci riserviamo perciò di approfondire ulteriormente aspettando anche un chiarimento dalla stessa Coldiretti.
Per riassumere, la vomitossina non è una sostanza con cui viene trattato il grano, bensì il prodotto di muffe naturali e la sua presenza è regolamentata per via europea, una regolamentazione che non cambierà con l’introduzione dell’accordo Ceta. Il glifosate non è vietato in Italia se non in fase di pre-raccolta e tale regola dovrebbe continuare a valere.
Infine, il leader della Lega Nord afferma che nell’accordo non è prevista nessuna tutela per il made in Italy. Non solo non è corretto, ma è ingiusto nei confronti del primo accordo negoziato dalla Ue che riconosce le indicazioni geografiche, baluardo delle tradizioni locali italiane da sempre vittime di imitazioni nel mondo. Il Canada ha infatti accettato di tutelare 143 indicazioni geografiche europee (Ig), ossia beni alimentari tipici provenienti da determinate città o regioni europee. Quarantuno di questi prodotti sono italiani, più del 28 per cento del totale. Vale la pena ricordare che molti di questi prodotti costituiscono le più importanti esportazioni di generi alimentari e i produttori sono spesso piccole e medie imprese delle comunità rurali. È vero che rimarranno fuori dall’accordo ancora 250 delle 291 Ig italiane, le quali continueranno a non essere tutelate in Canada. Ma come si usa dire: meglio un accordo che nessun accordo, meglio 41 Ig riconosciute che nessuna. E il numero limitato di indicazioni geografiche incluse nell’accordo è dovuto al fatto che si protegge innanzitutto se è utile economicamente proteggere (se non esportiamo determinati prodotti o non hanno mercato sui paesi terzi, perché dovrebbe servire una protezione?) o se è necessario dal punto di vista giuridico (se c’è un effettivo pericolo di utilizzo dell’indicazione geografica da parte di produttori locali).
Il Canada proteggerà questi prodotti tradizionali dalle imitazioni, esattamente come già avviene in Unione Europea. In linea generale, non sarà più possibile utilizzare impropriamente il nome di una Ig, anche se l’origine vera del prodotto è indicata, se viene utilizzata l’indicazione geografica in traduzione o è accompagnata da espressioni quali “tipo”, “genere”, “stile”, “imitazione” o simili. La protezione è garantita dall’articolo 20.19 (comma 1 e 3) dell’accordo. Tuttavia è doveroso ricordare che alcune delle 41 Ig riceveranno dall’accordo una protezione minore: i formaggi asiago, fontina e gorgonzola continueranno a subire la concorrenza di prodotti omonimi canadesi, anche se questi ora dovranno riportare la scritta “made in Canada” insieme all’espressione “imitazione”, “tipo” o simili. Queste disposizioni non si applicano ai prodotti che sono stati commercializzati prima del 18 ottobre 2013. Come ricorda l’articolo 20.21 (comma 1 e 2).
Inoltre, nell’affermare che “il finto parmesan, il finto prosciutto e il finto grana vengono assolutamente regolarizzati” Salvini cita proprio tre delle 41 Ig che saranno protette con l’entrata in vigore del Ceta. Ed è significativo che proprio i consorzi di tali prodotti esprimano grande soddisfazione per l’inserimento nel trattato di una tutela per i loro prodotti (qui, qui e qui).
È comprensibile commettere qualche imprecisione quando si discute di commercio internazionale, una materia tecnica e complessa. Ma non è così nel caso di Matteo Salvini, che tratta l’argomento con una certa furbizia elettorale. La dichiarazione del segretario della Lega Nord è quindi FALSA. Gli accordi commerciali, e le loro ripercussioni sulla salute e l’alimentazione dei cittadini, sono un tema molto sensibile e per questo troppo spesso ne viene fatto un uso strumentale. Per farsi un’opinione personale e imparziale, conviene quindi leggere direttamente il testo dell’accordo.
Ecco come facciamo il fact-checking.
Articolo scritto assieme a Mariasole Lisciandro e Gabriele Guzzi
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