Sgarbi è una “capra” in economia

Fact-checking: più incendi senza i forestali?

ARTICOLO PUBBLICATO SU LAVOCE.INFO IL 02/08/2017


AGGIORNAMENTO (11/08/2017)

Come promesso nel fact-checking, giovedì 3 agosto abbiamo inviato la richiesta di accesso civico (in inglese, FOIA) al Ministero dell’Interno per ottenere le informazioni sulle quali gli uffici stampa non avevano fornito risposte. Nella giornata di oggi – dopo soli 8 giorni – abbiamo ricevuto il responso, che conferma le informazioni dell’articolo. Tre le domande: 1) quanti operatori D.O.S. sono oggi operativi nel Corpo dei Vigili del fuoco? 2) quanti mezzi aerei trasferiti dall’ex Corpo forestale al Corpo dei Vigili del fuoco sono oggi funzionanti? 3) quali regioni hanno firmato accordi di programma con i Vigili del fuoco per l’utilizzo dei loro mezzi e personale?

Ecco le risposte:

  1. Attualmente il numero di personale con qualifica di Direttore delle Operazioni di Spegnimento (D.O.S.) operativo […] è di circa 750 unità”;
  2. I mezzi aerei transitati dall’Ex Corpo Forestale dello Stato al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco sono n. 16 elicotteri di cui n. 8, al momento, sono in assetto operativo, fermo restando i fermi tecnici, brevi, derivanti dai cicli ordinari di manutenzione previsti. I restanti mezzi (n. 8) risultano interessati da manutenzione calendariali ed al momento non sono disponibili per l’operatività”;
  3. In funzione dello svolgimento delle attività operative in materia AIB, sono state stipulate specifiche convenzioni con 15 regioni […]”.

In particolare i punti 1 e 3 rafforzano le tesi riportate nel fact-checking, riguardo alla diminuzione rispetto al 2016 del personale D.O.S. operativo (1.056 vs circa 750) ed al colpevole ritardo delle regioni nella firma delle convenzione con i Vigili del fuoco. Le date di sottoscrizione, assieme all’importo previsto, sono infatti consultabili nell’allegato in basso inviatoci dal Ministero dell’Interno; da tenere a mente la data di inizio della campagna nazionale anti-incendi: 15 giugno 2017. Alcune date differiscono di pochi giorni da quelle riportate da Legambiente e citate nel fact-checking (in particolare per Puglia e Sardegna); ci scusiamo con i lettori per l’imprecisione.

ESTATE, LA STAGIONE DEGLI INCENDI

Ogni estate non c’è questione più “scottante” di quella degli incendi boschivi che imperversano nella nostra Penisola. Tema che quest’anno è risultato inesorabilmente legato alla recente riforma delle forze di polizia e, in particolare, allo smembramento del Corpo forestale dello stato (CFs). Nelle ultime settimane diverse testate giornalistiche hanno riportato numerose critiche alla riforma, spesso citando fonti sindacali. Certo, voci ben informate e competenti sulle questioni più tecniche, ma non sempre imparziali e attendibili. Ecco dunque la necessità del fact-checking, a partire dalla dichiarazione su Twitter del sottosegretario al ministero della Semplificazione e Pubblica amministrazione Angelo Rughetti:

Rughetti riporta alcuni dati del capo del dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, sulle richieste di intervento aereo ricevute dalle regioni per incendi boschivi.
Secondo il sottosegretario parrebbe dunque che l’aumento degli incendi boschivi, spiegato nella scheda illustrativa, non sia in alcun modo legato allo smembramento del Corpo forestale: ogni nesso di causalità andrebbe escluso. La dichiarazione è rilevante poiché il ministero della Pubblica amministrazione è competente per la riforma voluta dal governo Renzi e concretizzatasi con il decreto legislativo 177/2016. Parole che richiedono perciò una verifica, a partire da documenti e dati ufficiali.

IL PERSONALE DOS

Il punto di partenza è intuitivo: quanti uomini erano a disposizione per le attività anti-incendio boschivo nel 2016 e quanti nel 2017? Si tratta di un calcolo complicato, poiché non vi è trasparenza su quanti dei quasi 8mila forestali statali fossero effettivamente impiegati nelle attività anti-incendio.
Possiamo tuttavia recuperare informazioni sui direttori delle operazioni di spegnimento (Dos), vale a dire l’importante figura che negli incendi boschivi particolarmente complessi coordina le operazioni e in particolare dirige i mezzi aerei presenti. Tale personale, appositamente formato, fino al 2016 era a disposizione degli enti locali e dell’ex Cfs (secondo la legge quadro sugli incendi boschivi 353/2000); dopo il 31 dicembre – ultimo giorno di operatività dei forestali – la competenza dei Dos è passata al corpo dei Vigili del fuoco, che la esercitano in collaborazione con le regioni. Secondo i decreti del Corpo Forestale dello Stato di attuazione del decreto legislativo 177/2016, tra i forestali erano 1.056 gli operatori forniti di competenza Dos. Se aggiungiamo – come scrive l’ufficio stampa del ministero dell’Interno, sollecitato direttamente – che “le unità di personale [nel corpo dei Vigili del fuoco, ndr] addette alla funzione di Direttore delle operazioni di spegnimento sono ad oggi 800” capiamo bene come, oltre a disperdere competenze acquisite negli anni, ci sia stato un ammanco di alcune centinaia di uomini e donne con esperienza e formazione nel coordinamento dello spegnimento degli incendi. Per di più i Dos dei VVf sono stati formati unicamente per la gestione dell’intervento aereo, mentre mancano della formazione necessaria alla gestione globale dell’incendio, oltre a non conoscere il territorio forestale rurale come invece l’ex personale del Corpo Forestale dello Stato.

IL MISTERO DEL DECRETO MANCANTE

I problemi non terminano qui: secondo l’articolo 13 del decreto legislativo 177/2016 il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf) avrebbe dovuto, entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore (cioè entro il 12 novembre 2016), individuare “le risorse finanziarie, i beni immobili in uso ascritti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato, gli strumenti, i mezzi, gli animali, gli apparati, le infrastrutture e ogni altra pertinenza del Corpo forestale dello Stato che sono trasferiti all’Arma dei carabinieri, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, alla Polizia di Stato e al Corpo della guardia di  finanza”. Il decreto manca ancora all’appello, per voce dello stesso generale Antonio Ricciardi, a capo del corpo forestale dei Carabinieri ove sono confluiti più di 6mila ex forestali: in audizione in Senato ha infatti affermato che si tratta di un “decreto interministeriale ancora non definitivo ma di fatto già attuato”. Non abbiamo notizie su come un decreto non ancora emanato possa essere attuato, peraltro né l’ufficio stampa del Mipaaf, né quelli del ministero dell’Interno o del ministero della Pubblica amministrazione hanno voluto rilasciare commenti in merito.

DOVE E’ LA FLOTTA AEREA

Molti degli articoli di giornale pubblicati nelle scorse settimane si sono concentrati sulla flotta aerea a disposizione dell’ex Cfs: 32 elicotteri, tra cui molti anti-incendi, spartiti a metà tra Carabinieri e VVf. Secondo le numerose denunce riportate, però, gli elicotteri sarebbero in gran parte fermi negli hangar. Mancanza di fondi, lavori di manutenzione straordinaria, complicazioni burocratiche: le ragioni sarebbero tante. Si tratta di una questione talmente tecnica e mutevole che siamo stati costretti a non addentrarci nei dettagli, per evitare facili imprecisioni. Per capirne la complessità basta l’esempio delle affermazioni del governatore della Sicilia Rosario Crocetta: durante un’audizione al Senato qualche giorno fa ha dichiarato che gli elicotteri appartenenti all’ex Corpo Forestale in funzione nella sua regione nel 2016 non possono ancora essere utilizzati dalla direzione siciliana dei VVf per problemi legati al passaggio dal vecchio al nuovo corpo. Le dichiarazioni di Crocetta sono contraddistinte da alcune imprecisioni e per di più smentite in precedenza, per il contesto nazionale, da un comunicato del Ministero dell’Interno. Tuttavia la direzione regionale siciliana dei Vigili del fuoco, che fa capo al Dipartimento nazionale e quindi allo stesso ministero dell’Interno, ha confermato in modo esplicito le parole del governatore spiegando che è stato impossibile firmare la convenzione tra VVf e regione Sicilia per l’utilizzo dei mezzi aerei anti-incendio dei VVF proprio per via di tale ritardo. Come accaduto in Sicilia, immaginiamo che ritardi per l’utilizzo dei mezzi aerei anti-incendi dovuti allo smembramento del CFs possano essere avvenuti anche in altre regioni italiane.

LE RESPONSABILITA’ DELLE REGIONI

Ciò tuttavia non significa certo che – come sostengono alcuni – il considerevole aumento del numero di incendi e del territorio bruciato sia dovuto al solo smembramento del Corpo forestale. Le regioni appaiono avere un gran fetta di responsabilità, per via del loro ruolo cruciale, come spieghiamo nella scheda.  Dovrebbero adottare e successivamente aggiornare annualmente un piano regionale per la programmazione delle attività anti-incendio. Inoltre per loro è possibile stipulare convenzioni annuali a pagamento con il corpo dei Vigili del fuoco (in passato anche con l’ex Cfs) per l’impiego del personale e dei mezzi terrestri e aerei a disposizione. Secondo il dossier Legambiente, che appare una valida fonte, questa è la situazione delle sei regioni più colpite dagli incendi boschivi:

REGIONE DATA DI APPROVAZIONE DEL PIANO REGIONALE DATA DI FIRMA DELLA CONVENZIONE CON I VVF ETTARI BRUCIATI (percentuale sul territorio regionale coperto da foreste e boschi)
Sicilia 10 maggio 1 agosto (prevista) 7,41%
Campania 21 luglio 15 luglio 2,92%
Sardegna 23 maggio / 0,28%
Puglia 24 febbraio 30 maggio 1,7%
Lazio 17 luglio Giugno 0,8%
Calabria 12 giugno 4 luglio 3,14%

Fonte: “Dossier Incendi 2017” di Legambiente ed elaborazione dati del progetto Copernicus della Commissione europea, aggiornati al 27 luglio 2017.

In rosso sono segnate le date in cui alcune regioni che hanno approvato piani e convenzioni: come si vede sono in estrema prossimità o addirittura in ritardo rispetto all’inizio della campagna nazionale anti-incendio, inaugurata il 15 giugno.

IL VERDETTO

Recuperare le informazioni per questo fact–checking, tra gli uffici stampa dei ministeri e del Dipartimento nazionale dei VVf, muti per settimane, non è stato semplice. Per ottenere alcune interessanti informazioni che ancora mancano all’appello tenteremo la via della richiesta di accesso agli atti (in inglese, FOIA): uno strumento peraltro fortemente voluto dallo stesso ministero della Pubblica amministrazione, che però sull’argomento incendi resta da giorni silente di fronte alle numerose richieste di informazioni.

Ad ogni modo non è certo possibile, né nostra intenzione, dimostrare una causalità diretta tra i ritardi e disguidi e il fenomeno degli incendi boschivi delle ultime settimane: le variabili in campo sono troppe. Allo stesso tempo, non appare possibile escludere categoricamente ogni problema, come ha fatto il sottosegretario Rughetti. Alla luce dei fatti, la sua dichiarazione è quindi FALSA. A problemi complessi non si possono fornire risposte semplicistiche, per di più se affidate al cinguettio dei 140 caratteri.

Angelo Rughetti su Twitter in risposta al fact-checking (assieme alla nostra replica). Il Sottosegretario ha ribattuto in modo più approfondito sul suo profilo Facebook:

Ecco come facciamo il fact-checking.

Quando Berlusconi parla di poveri

Ma davvero il Ceta è pericoloso come dice Salvini?

Lotta alla disuguaglianza: se Boschi gonfia i risultati

ARTICOLO PUBBLICATO SU LAVOCE.INFO IL 30/06/2017


SECONDO ISTAT LO STATO RIDUCE LE DISEGUAGLIANZE

Post e tweet euforici degli esponenti Pd (e non solo) hanno tempestato i social mercoledì 21 giugno, giorno in cui l’Istat ha pubblicato una simulazione sulla redistribuzione del reddito in Italia. Nel documento, l’istituto di via Balbo stima quanto l’intervento pubblico, ossia la somma dei trasferimenti e dei prelievi fiscali, abbia influenzato nel 2016 la distribuzione del reddito e i livelli di disuguaglianza.

La metodologia usata nella simulazione è la seguente: si prende in considerazione il sistema economico prima dell’intervento dello stato e se ne stima la disuguaglianza. Poi, la si confronta con quella che è osservabile a seguito dell’intervento pubblico, per comprendere se l’azione compiuta dallo stato abbia diminuito, aumentato o lasciato invariato il grado di disuguaglianza presente nel sistema.
I risultati dello studio ci dicono che l’azione dello stato ha effetti rilevanti in termini di una più equa distribuzione del reddito. Solo nel 2016 l’indice di Gini – la misura più utilizzata per calcolare le disuguaglianze, che varia da 0, eguaglianza, a 100, massima concentrazione dei redditi – è diminuito di 15,1 punti (da 45,2 a 30,1) a seguito dell’intervento pubblico.

Oltre a sottolineare nel dettaglio quali siano le categorie di reddito e di età più avvantaggiate dall’azione dello stato, il rapporto prende in considerazione anche gli effetti di tre misure adottate nel triennio 2014-2016: il bonus di 80 euro, l’aumento della quattordicesima per i pensionati e l’implementazione parziale del sostegno di inclusione attiva (Sia, una misura sperimentale contro la povertà ora sostituita dal reddito di inclusione). Anche in questo caso sembrerebbe che tutte e tre le misure abbiano svolto un ruolo importante nella lotta contro le disuguaglianze e la povertà. Così infatti recita il documento diffuso dall’Istat:

“Le principali politiche redistributive del periodo 2014-2016 (bonus di 80 euro, aumento della quattordicesima per i pensionati e sostegno di inclusione attiva), hanno aumentato l’equità della distribuzione dei redditi disponibili nel 2016 (l’indice di Gini è passato dal 30,4 al 30,1) e ridotto il rischio di povertà (dal 19,2 al 18,4%)”

COSA HA DETTO BOSCHI

Questa notizia, come facilmente prevedibile, ha suscitato la reazione entusiasta di numerosi esponenti della maggioranza che sostenne tali provvedimenti e, in particolare, del Partito Democratico. Per esempio, ecco cosa ha pubblicato sul suo profilo facebook il Sottosegretario di Palazzo Chigi Maria Elena Boschi:

Cattura

Tuttavia, nel post ci sono tre punti su cui è utile fare qualche precisazione.

Per prima cosa Boschi dichiara che l’Istat avrebbe pubblicato dei dati. Come sappiamo, in realtà, lo studio in questione non si basa su un’analisi empirica, vale a dire su una valutazione di dati osservati nella realtà, quanto piuttosto su una microsimulazione teorica.
Non che questo sia un punto debole per il report dell’Istat, le microsimulazioni sono anzi utilizzate in tutta Europa per valutare l’efficacia delle policy. Al contrario di un’analisi empirica infatti, dove ogni elemento è il risultato dell’azione di molti fattori, le microsimulazioni riescono a isolare gli effetti dei singoli provvedimenti, controllando così l’azione esercitata dalle altre variabili. È molto difficile ottenere questo risultato quando ci si approccia a dei dati reali ed è per questo che i modelli teorici possono essere molto utili anche nel dibattito politico. Tuttavia, è importante sottolineare la differenza tra delle simulazioni teoriche e delle analisi di contabilità nazionale. Ed è lo stesso Roberto Monducci, direttore del dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, che in un’intervista al Fatto smorza l’eccessivo entusiasmo che alcuni esponenti Pd avevano mostrato a seguito del report:

“Si tratta di esercizi, di un modello zeppo di ipotesi che stiamo sfruttando anche a fini informativi. Ma non è contabilità nazionale, non è una statistica. Lo riteniamo interessante anche per restituire un quadro informativo, anche in alcuni altri Paesi come la Francia lo fanno… però va preso per quello che è”.

Come a dire: è vero che parliamo di modelli molto affidabili e largamente usati in tutta Europa, ma va comunque ricordato che restano modelli, ossia strumenti che replicano la realtà senza una pretesa di completezza. Le informazioni che ne possiamo trarre sono quindi utili, ma necessitano di una contestualizzazione approfondita per non incappare in conclusioni politiche troppo affrettate.

Il secondo elemento su cui Boschi commette alcune imprecisioni riguarda la scomposizione degli effetti redistributivi delle tre misure adottate. Lo studio infatti non specifica quanto i provvedimenti abbiano influito singolarmente sulla diminuzione dell’indice di Gini e del rischio di povertà. E anche il post di Boschi si riferisce alle tre misure come se fossero una sola, alimentando non poca confusione sull’efficacia individuale dei provvedimenti. Confusione a cui mette ordine lo stesso Monducci, il quale arricchendo le informazioni fornite dallo studio rivela sempre al Fatto:

“Il bonus degli 80 euro “ha ridotto la disuguaglianza dal 30,4% al 30,2% e il rischio di povertà dal 19,2% al 18,5%”. Invece, aggiunge, “la quattordicesima ai pensionati riduce lievemente solo il rischio di povertà (dal 19,2% al 19,1%) e il Sia, entrato in vigore solo nella seconda metà del 2016, al momento non sembra aver prodotto effetti significativi”.

(Ansa)

Va ricordato che il Sia non nasce con l’obiettivo di diminuire l’indice di Gini o la diffusione della povertà, relativa o assoluta che sia, quanto con quello di limitare l’intensità della povertà assoluta (obiettivo su cui sembrerebbe aver raggiunto risultati considerevoli). Proprio per questo motivo, la diminuzione dello 0,3 dell’indice di Gini è imputabile principalmente al solo bonus degli 80 euro, e non all’insieme delle tre misure, come trapelerebbe invece dal post di Boschi. A sua discolpa, bisogna comunque far notare che le dichiarazioni di Monducci sono state rilasciate dopo la pubblicazione del post del Sottosegretario, che comunque non ha rilasciato alcuna dichiarazione per precisare o rettificare il contenuto del suo post.

UNA VALUTAZIONE TROPPO AFFRETTATA

Un terzo punto che merita di essere analizzato è quando Boschi scrive che il report di Istat certifica il successo delle tre misure. Nel dettaglio, il post recita:

“Oggi però #Istat pubblica dei dati che ci dicono che le principali politiche redistributive del periodo 2014-2016 hanno funzionato”.

In questa breve frase, Maria Elena Boschi considera positive le tre politiche attuate nel triennio 2014-2016 nella misura in cui queste abbiano diminuito la disuguaglianza del sistema. Il Sottosegretario cioè utilizza il solo parametro dell’efficacia redistributiva per valutare la bontà delle policy: in altri termini, maggiore è l’azione perequativa e migliore sarà per Boschi la valutazione.

Tuttavia le sue dichiarazioni suscitano un altro interrogativo: se le tre politiche vengono interpretate in chiave redistributiva, e vengono valutate positivamente perché hanno reso più eguale la nostra economia, è lecito chiedersi se a costi invariati si sarebbe potuto raggiungere un risultato migliore. Possiamo cioè chiederci se con le risorse utilizzate per i tre provvedimenti si sarebbe potuto attuare una policy alternativa che avrebbe generato risultati più soddisfacenti.
Prenderemo come controesempio il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle. Ovviamente sono misure diverse, nate con obiettivi differenti: il bonus degli 80 euro vuole infatti aiutare le famiglie con redditi medio-bassi, mentre la proposta pentastellata le famiglie più povere. Tuttavia noi qui adotteremo esclusivamente il metro utilizzato da Boschi nel suo post, senza svolgere analisi su parametri aggiuntivi: valuteremo migliore la proposta che riduce maggiormente la disuguaglianza.

Il costo complessivo degli 80 euro, dell’aumento della quattordicesima e del Sia ammonta a 10,72 miliardi di euro e ha ridotto l’indice di Gini di 0,3. La proposta pentastellata, già al centro di un nostro fact-checking, prevede l’erogazione di un sussidio che colmi il divario tra il reddito percepito e il livello di povertà. L’Istat ha stimato che nel 2015 questa misura sarebbe costata 14,9 miliardi e avrebbe ridotto l’indice di Gini di 1,8.

A fronte quindi di un 39 per cento di costi in più si sarebbe ridotto l’indice Gini per un valore pari a 6 volte la variazione prodotta dai tre provvedimenti, con una differenza quindi del +500%.

Sebbene queste stime si riferiscano a due anni diversi (i costi e gli effetti delle tre misure sono relativi al 2016, mentre le stime sul reddito di cittadinanza riguardano il 2015), emerge una chiara differenza tra i risultati.
Il Reddito di Cittadinanza riuscirebbe con una cifra vicina a quei 10,72 miliardi utilizzati per i tre provvedimenti a diminuire la disuguaglianza in maniera significativamente più rilevante.
È ovvio che tale comparazione non ha l’ambizione di trarre conclusioni definitive su quale provvedimento sia il migliore. Tuttavia se adottiamo esclusivamente il metro valutativo utilizzato da Boschi, i risultati sono abbastanza evidenti.

Nonostante gli effetti positivi evidenziati, sembra dunque che l’entusiasmo suscitato dal documento dell’Istat sia stato probabilmente eccessivo.
Tornando alla dichiarazione di Maria Elena Boschi, il giudizio non può essere però eccessivamente negativo. Il Sottosegretario del Governo sbaglia nel chiamare dati ciò che non lo è, e nel considerare come una sola cosa i tre provvedimenti. La dichiarazione di Maria Elena Boschi è quindi QUASI VERA. L’errore di valutazione politica, che quindi esula dal fact-checking, è semmai quello di misurare l’efficacia di una policy esclusivamente sul parametro dell’efficacia redistributiva, che, come abbiamo dimostrato, si presta a paragoni che non dovrebbero lasciare del tutto soddisfatti gli esponenti Pd.

Ecco come facciamo il fact-checking.

Articolo scritto assieme a Mariasole Lisciandro e Gabriele Guzzi

Se neanche i parlamentari conoscono il reddito di cittadinanza

ARTICOLO PUBBLICATO SU LAVOCE.INFO IL 15/06/2017


Ma davvero si va in pensione vecchi decrepiti?

ARTICOLO PUBBLICATO SU LAVOCE.INFO L’ 01/06/2017


Se per Renzi il buco dell’Etruria è poca cosa

ARTICOLO PUBBLICATO SU LAVOCE.INFO IL 25/05/2017


Ritorna il fact-checking de lavoce.info. Passiamo al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca a Matteo Renzi e alle sue dichiarazioni sulle perdite di Banca Etruria.

E’ giusto quel che dice Di Maio sul lavoro?

ARTICOLO PUBBLICATO SU LAVOCE.INFO L’11/05/2017


Ritorna il fact-checking de lavoce.info. Passiamo al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca a Luigi Di Maio e alle sue affermazioni sul mercato del lavoro.

COSA HA DETTO DI MAIO

Da quando è stato approvato il Jobs Act, in corrispondenza della diffusione dei bollettini di Istat, Inps e ministero del Lavoro, si accendono feroci polemiche sull’andamento del mercato del lavoro. Polemizzare su dati mensili inevitabilmente influenzati da oscillazioni temporanee e a volte casuali, non è molto produttivo. Da alcuni mesi, però, l’Istat diffonde l’analisi dei flussi occupazionali per classe d’età al netto dell’effetto demografico, mentre dal 2016 ministero del Lavoro, Inps e Istat producono – finalmente – una nota congiunta trimestrale.
Se poi alle polemiche sui numeri si aggiunge la diffusione di dati e commenti non accurati, il dibattito pubblico non fa progressi, anzi ne soffre. Come accaduto durante l’ultima puntata della trasmissione DiMartedì (La7), durante la quale Luigi Di Maio ha dichiarato (al minuto 45:32): “Abbiamo un paese che in questo momento non se la passa bene: tutti gli indici di […] disoccupazione stanno aumentando, e diminuisce l’occupazione; la disoccupazione giovanile quando diminuisce è perché ci sono giovani che o espatriano o perdono la speranza di trovare lavoro, non che diminuisca perché abbiamo trovato nuovi posti di lavoro”.

I DATI SUL MERCATO DEL LAVORO

Analizziamo dunque la sua dichiarazione alla luce degli ultimi dati sul mercato del lavoro diffusi da Istat. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto un picco nel novembre 2014 – quando era al 13 per cento. Da allora si è ridotto fino a scendere all’11,4 per cento a settembre 2015, per poi risalire all’11,7, valore di marzo 2017, per un totale di 105mila disoccupati in più rispetto al settembre 2015. È forse a questa risalita che si riferisce l’onorevole Di Maio.
Il trend del tasso di occupazione è invece più lineare: dopo aver raggiunto un punto di minimo nel settembre 2013 (55 per cento), a marzo 2017 si attesta al 58 per cento, con un aumento degli occupati di quasi 750mila unità. Sono stati così quasi raggiunti i livelli occupazionali pre-crisi, il cui picco è stato registrato ad aprile 2008 con quasi il 59 per cento di occupati. A questi dati vanno aggiunti gli inattivi, in forte calo dal 2011 a oggi, come si vede dalla figura 1.
Nei dati su occupati e inattivi non si trova dunque evidenza delle affermazioni del vicepresidente della Camera.

Fonte: Istat

GIOVANI: SCORAGGIATI E IN FUGA?

Di Maio ha parlato anche di disoccupazione giovanile, affermando che la sua riduzione non è un dato positivo poiché sarebbe il riflesso dell’aumento degli inattivi e degli emigrati.
Dai dati per la popolazione compresa tra i 15 e i 24 anni si osserva una riduzione di 10 punti percentuali della frazione di giovani disoccupati sul totale della forza lavoro, dal 44,1 per cento di marzo 2014 al 34,1 per cento del marzo 2017. Dati precisi sulla “fuga di cervelli” non sono disponibili; i numeri a cui possiamo affidarci sono quelli delle iscrizioni all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) riportati dal “Rapporto sugli italiani all’estero” prodotto annualmente dalla Fondazione Migrantes. L’iscrizione al registro tuttavia non è obbligatoria nel corso del primo anno di permanenza fuori dai confini nazionali e quindi molto probabilmente risulta approssimata per difetto. Sulla base di una simulazione sul 2014 e il 2015, che calcola, rispettivamente, 32mila e 39mila espatri tra i 18 e i 34 anni, non sembra plausibile affermare che la riduzione di disoccupati fra i giovani sia stata completamente assorbita da nuovi inattivi e persone partiti in cerca di fortuna all’estero. Da gennaio 2014 a dicembre 2015, infatti, i disoccupati si sono ridotti di 116mila unità, gli inattivi sono aumentati di 13mila, gli espatriati sono stati circa 71mila, mentre la classe 15-24 anni si è ridotta di 68mila giovani per via dell’effetto demografico. L’affermazione di Di Maio potrebbe essere vera solo assumendo ipotesi piuttosto improbabili: ad esempio nel caso in cui tutti gli espatriati, gli inattivi e metà del calo demografico siano stati disoccupati.
Inoltre, poiché i dati sugli espatri per la fascia d’età tra i 15 e i 24 anni non sono disponibili, stiamo facendo riferimento a dati di espatriati tra i 18 e i 34 anni, di cui i più giovani rappresentano solo una parte. È ragionevole quindi pensare che l’effetto dell’espatrio sulla riduzione di disoccupati e inattivi tra i 15 e i 24 anni sia residuale.

Fonte: Istat
Nota: abbiamo scelto di usare i tassi invece dei valori assoluti a causa dell’effetto demografico che in questa fascia d’età è piuttosto forte.

Forse l’esponente del Movimento 5 Stelle prende in considerazione periodi più brevi? Seppur poco utili all’analisi, che è preferibile svolgere sul medio-lungo periodo, anche i trend congiunturali e tendenziali non sembrano dare ragione al vicepresidente della Camera. L’ultimo bollettino Istat mostra come nel primo trimestre del 2017 gli occupati siano aumentati di 35mila unità rispetto all’ultimo trimestre 2016, mentre disoccupati e inattivi sono diminuiti, rispettivamente di 38mila e 32mila unità. Anche tra i più giovani i risultati non sono in linea con quanto afferma Di Maio: rispetto all’ultimo trimestre i giovani lavoratori sono aumentati di 24mila, i disoccupati ridotti di 72mila e gli inattivi aumentati di 40mila (variazione trimestrale positiva che diventa negativa se però prendiamo in considerazione l’intero anno marzo 2016-marzo2017).
Con la grande recessione e la crisi dell’euro, il mercato del lavoro ha molto sofferto. Dalla fine del 2014 si registra però un miglioramento in quasi tutte le variabili. Miglioramento che tuttavia sta perdendo vigore negli ultimi mesi, soprattutto per i disoccupati. Si tratta quindi di un rallentamento, non di un peggioramento come sostiene Di Maio.

Da parte di un giovane politico che propone, assieme al suo Movimento, di cambiare radicalmente il nostro paese ci si attende una analisi della realtà accurata per poter sviluppare proposte di riforma efficaci. In questo caso, purtroppo, non è avvenuto: la dichiarazione di Di Maio è infatti una BUFALA.

Articolo scritto assieme a Mariasole Lisciandro e Gabriele Guzzi

Alitalia è davvero indispensabile?

ARTICOLO PUBBLICO SU LAVOCE.INFO IL 03/05/2017


LE PAROLE DEL MINISTRO CALENDA