Fosse stato per la mia cerchia di amici e conoscenti +Europa avrebbe dovuto agevolmente superare almeno, almeno, il 10 per cento. Ha raggiunto forse un quarto dei voti. È capitato anche a voi? Allora questo racconto personale parla un po’ anche di voi.
La giornata di ieri è l’ennesima occasione in cui mi sono sentito cieco. Politicamente, si intende. È un senso di impotenza e di inettitudine a percepire i cambiamenti. Non sento il vento arrivare, nemmeno una tempesta come questa. Non ho avuto sentore di una vittoria di Lega e Movimento 5 Stelle se non negli ultimi due giorni, e non di una portata tale. Sensazione speculare a quella provata il 4 dicembre di due anni fa, ma lì c’era lo scusante di essere coinvolto in prima persona. È una considerazione particolarmente sgradevole, a 21 anni, per chi vive di politica: ci si attenderebbe che dopo ore trascorse a confrontarsi, o davanti allo smartphone e ai giornali di aver acquisito una certa capacità di prevedere lo stato degli eventi, sentire il vento che arriva. E invece no. Ed è maledettamente frustrante.
Non ho idea, se non il classico sentito dire, del motivo per cui un mio coetaneo, nato in un mondo libero e globalizzato, è portato a scegliere Lega Nord. Non ho capito il motivo per cui il 60 per cento degli italiani hanno votato No al referendum costituzionale. Non capisco cosa ci trovino tanti meridionali nella storia e nello stile di Luigi Di Maio. Una mancanza grave, non capire i fatti, per chi aspira a raccontarli per lavoro e vocazione. Mancanza figlia di una grande fortuna: essere privilegiato. Nato in una famiglia benestante, educato in scuole-bene, studente universitario e Erasmus, amico di persone della mia stessa estrazione. Non so come si sente un disoccupato, né come sia subire un licenziamento. Né tanto meno vivere nella povertà. Chi cioè ha guidato ieri la vittoria degli estremisti.
L’unico conforto è non essere solo: sia la sinistra, che gran parte dei media sono altrettanto disorientati. È probabile che la maggior parte dei commentatori che si sono affacciati nel corso delle varie maratone elettorali non abbiano mai votato per i due partiti che oggi rappresentano la metà dei votanti. Anzi, probabilmente il giornalismo ha pure una responsabilità maggiore, con poche esclusioni: per qualche click o punto di share in più, da anni si riempiono palinsesti e homepage di notizie di cronaca nera, di “emergenze sbarchi” e notizie sensazionaliste o non verificate. Se sommiamo a questo un racconto della campagna elettorale quasi completamente sdraiato sulla politica, con poche domande scomode e pochissimo fact-checking, il giornalismo italiano ha fatto da volano – involontario (e questo ha del beffardo) – agli estremisti.
Ma la folta compagnia non riduce lo sconforto. Ho pensato che internet avrebbe potuto aprire porte prima inaccessibili al racconto dei fatti. E in parte è così. La verifica puntuale e rapida dei dati e delle narrazioni fino a quindici anni fa sarebbe stata impensabile. Ma allo stesso tempo acceca: ti illude che il mondo sia su Twitter o, peggio, che il mondo sia Twitter. Quello vero, di mondo, corre altrove, il vento spira e ci scappa. Estraneo.