Se neanche i parlamentari conoscono il reddito di cittadinanza

ARTICOLO PUBBLICATO SU LAVOCE.INFO IL 15/06/2017


E’ giusto quel che dice Di Maio sul lavoro?

ARTICOLO PUBBLICATO SU LAVOCE.INFO L’11/05/2017


Ritorna il fact-checking de lavoce.info. Passiamo al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca a Luigi Di Maio e alle sue affermazioni sul mercato del lavoro.

COSA HA DETTO DI MAIO

Da quando è stato approvato il Jobs Act, in corrispondenza della diffusione dei bollettini di Istat, Inps e ministero del Lavoro, si accendono feroci polemiche sull’andamento del mercato del lavoro. Polemizzare su dati mensili inevitabilmente influenzati da oscillazioni temporanee e a volte casuali, non è molto produttivo. Da alcuni mesi, però, l’Istat diffonde l’analisi dei flussi occupazionali per classe d’età al netto dell’effetto demografico, mentre dal 2016 ministero del Lavoro, Inps e Istat producono – finalmente – una nota congiunta trimestrale.
Se poi alle polemiche sui numeri si aggiunge la diffusione di dati e commenti non accurati, il dibattito pubblico non fa progressi, anzi ne soffre. Come accaduto durante l’ultima puntata della trasmissione DiMartedì (La7), durante la quale Luigi Di Maio ha dichiarato (al minuto 45:32): “Abbiamo un paese che in questo momento non se la passa bene: tutti gli indici di […] disoccupazione stanno aumentando, e diminuisce l’occupazione; la disoccupazione giovanile quando diminuisce è perché ci sono giovani che o espatriano o perdono la speranza di trovare lavoro, non che diminuisca perché abbiamo trovato nuovi posti di lavoro”.

I DATI SUL MERCATO DEL LAVORO

Analizziamo dunque la sua dichiarazione alla luce degli ultimi dati sul mercato del lavoro diffusi da Istat. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto un picco nel novembre 2014 – quando era al 13 per cento. Da allora si è ridotto fino a scendere all’11,4 per cento a settembre 2015, per poi risalire all’11,7, valore di marzo 2017, per un totale di 105mila disoccupati in più rispetto al settembre 2015. È forse a questa risalita che si riferisce l’onorevole Di Maio.
Il trend del tasso di occupazione è invece più lineare: dopo aver raggiunto un punto di minimo nel settembre 2013 (55 per cento), a marzo 2017 si attesta al 58 per cento, con un aumento degli occupati di quasi 750mila unità. Sono stati così quasi raggiunti i livelli occupazionali pre-crisi, il cui picco è stato registrato ad aprile 2008 con quasi il 59 per cento di occupati. A questi dati vanno aggiunti gli inattivi, in forte calo dal 2011 a oggi, come si vede dalla figura 1.
Nei dati su occupati e inattivi non si trova dunque evidenza delle affermazioni del vicepresidente della Camera.

Fonte: Istat

GIOVANI: SCORAGGIATI E IN FUGA?

Di Maio ha parlato anche di disoccupazione giovanile, affermando che la sua riduzione non è un dato positivo poiché sarebbe il riflesso dell’aumento degli inattivi e degli emigrati.
Dai dati per la popolazione compresa tra i 15 e i 24 anni si osserva una riduzione di 10 punti percentuali della frazione di giovani disoccupati sul totale della forza lavoro, dal 44,1 per cento di marzo 2014 al 34,1 per cento del marzo 2017. Dati precisi sulla “fuga di cervelli” non sono disponibili; i numeri a cui possiamo affidarci sono quelli delle iscrizioni all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) riportati dal “Rapporto sugli italiani all’estero” prodotto annualmente dalla Fondazione Migrantes. L’iscrizione al registro tuttavia non è obbligatoria nel corso del primo anno di permanenza fuori dai confini nazionali e quindi molto probabilmente risulta approssimata per difetto. Sulla base di una simulazione sul 2014 e il 2015, che calcola, rispettivamente, 32mila e 39mila espatri tra i 18 e i 34 anni, non sembra plausibile affermare che la riduzione di disoccupati fra i giovani sia stata completamente assorbita da nuovi inattivi e persone partiti in cerca di fortuna all’estero. Da gennaio 2014 a dicembre 2015, infatti, i disoccupati si sono ridotti di 116mila unità, gli inattivi sono aumentati di 13mila, gli espatriati sono stati circa 71mila, mentre la classe 15-24 anni si è ridotta di 68mila giovani per via dell’effetto demografico. L’affermazione di Di Maio potrebbe essere vera solo assumendo ipotesi piuttosto improbabili: ad esempio nel caso in cui tutti gli espatriati, gli inattivi e metà del calo demografico siano stati disoccupati.
Inoltre, poiché i dati sugli espatri per la fascia d’età tra i 15 e i 24 anni non sono disponibili, stiamo facendo riferimento a dati di espatriati tra i 18 e i 34 anni, di cui i più giovani rappresentano solo una parte. È ragionevole quindi pensare che l’effetto dell’espatrio sulla riduzione di disoccupati e inattivi tra i 15 e i 24 anni sia residuale.

Fonte: Istat
Nota: abbiamo scelto di usare i tassi invece dei valori assoluti a causa dell’effetto demografico che in questa fascia d’età è piuttosto forte.

Forse l’esponente del Movimento 5 Stelle prende in considerazione periodi più brevi? Seppur poco utili all’analisi, che è preferibile svolgere sul medio-lungo periodo, anche i trend congiunturali e tendenziali non sembrano dare ragione al vicepresidente della Camera. L’ultimo bollettino Istat mostra come nel primo trimestre del 2017 gli occupati siano aumentati di 35mila unità rispetto all’ultimo trimestre 2016, mentre disoccupati e inattivi sono diminuiti, rispettivamente di 38mila e 32mila unità. Anche tra i più giovani i risultati non sono in linea con quanto afferma Di Maio: rispetto all’ultimo trimestre i giovani lavoratori sono aumentati di 24mila, i disoccupati ridotti di 72mila e gli inattivi aumentati di 40mila (variazione trimestrale positiva che diventa negativa se però prendiamo in considerazione l’intero anno marzo 2016-marzo2017).
Con la grande recessione e la crisi dell’euro, il mercato del lavoro ha molto sofferto. Dalla fine del 2014 si registra però un miglioramento in quasi tutte le variabili. Miglioramento che tuttavia sta perdendo vigore negli ultimi mesi, soprattutto per i disoccupati. Si tratta quindi di un rallentamento, non di un peggioramento come sostiene Di Maio.

Da parte di un giovane politico che propone, assieme al suo Movimento, di cambiare radicalmente il nostro paese ci si attende una analisi della realtà accurata per poter sviluppare proposte di riforma efficaci. In questo caso, purtroppo, non è avvenuto: la dichiarazione di Di Maio è infatti una BUFALA.

Articolo scritto assieme a Mariasole Lisciandro e Gabriele Guzzi

Tutti gli errori di Di Maio e il M5s sul caso Minzolini

ARTICOLO PUBBLICATO SU IL FOGLIO IL 23/03/2017


È ormai un dato di fatto che il movimento di Beppe Grillo ha scelto, da tempo ma ancor più dopo l’elezione del Presidente americano, la via della delegittimazione dei mass media tradizionali e delle semplificazioni-disinformazioni-bufale, in un climax di gravità. L’ultimo esempio lo fornisce il caso Minzolini, l’ex direttore del TG1 – oggi in Forza Italia – sulla cui decadenza per ineleggibilità il Senato ha votato a sfavore, seguendo le prescrizioni della legge Severino. La votazione si è svolta a voto palese, e 19 senatori del Partito Democratico hanno votato contro la decadenza, evidentemente perché hanno trovato la condanna influenzata dal fumus persecutionis. Purtroppo quasi nessuno di loro ha giustificato la propria scelta sui social network e non siamo perciò in grado di conoscere le motivazioni, ne risponderanno loro stessi agli elettori.

Riepiloghiamo la storia giudiziaria: Augusto Minzolini è stato giudicato colpevole dalla Cassazione per peculato continuato e condannato a due anni e mezzo di reclusione e alla interdizione dai pubblici uffici; i giudici hanno verificato infatti un uso improprio della carta di credito della Rai con la quale l’ex direttore ha totalizzato spese per 65mila euro. Luigi Di Maio, leader in pectore del Movimento, ha parlato di atto eversivo, aggiungendo che i parlamentari non si dovrebbero più lamentare in caso di “atti violenti, perché i primi violenti che vanno contro la legge sono loro”, scatenando naturali polemiche nei giorni successivi. Il Vicepresidente della Camera, non soddisfatto, è tornato ieri sull’argomento durante l’intervista a Di Martedì (dal minuto 03:51), su La7. Di fronte al tentativo di Floris di ristabilire la realtà giuridica, Di Maio ha sbottato: “Non dirò mai che sul caso Minzolini è stata rispettata la legge perché il Parlamento doveva prendere atto della decisione di un altro potere dello Stato”. Il pubblico in studio è sembrato credergli visti gli applausi calorosi che ormai a La7 non stupiscono più, ma è stato ingannato.

L’articolo tre del decreto legislativo n. 235/2012, conosciuto ai più come legge Severino, prescrive che “qualora una causa di incandidabilità […] sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione.” Verificando il testo costituzionale si scopre che l’articolo citato prevede un “giudizio” da parte dei membri della camera interessata, e non una “presa d’atto” come pare sostenere Di Maio. Il Parlamento ha cioè il dovere di votare, ma non di approvare la decadenza del proprio membro. Ed affermare, come fa il deputato del M5s, che “nella legge Severino c’è scritto che la Camera deve votare perché non poteva scrivere altrimenti” è una banale tautologia che non dimostra in alcun modo l’automatismo della decadenza in caso di condanna passata in giudicato. In diritto le parole contano, per di più se contenute nella Costituzione; Luigi Di Maio, studente (fuoricorso) di giurisprudenza dovrebbe esserne a conoscenza. D’altra parte la sua tesi è smentita dal fatto che nella prima versione del decreto legislativo della Severino, preparata dal governo Monti nel 2012, il testo, come scoperto dall’Huffington Post, si presentava in modo differente: allora l’articolo tre – che sarebbe stato poi modificato – prevedeva la “decadenza di diritto”, senza rimandare all’articolo 66 della Costituzione. Se insomma il legislatore avesse voluto introdurre la decadenza automatica di fronte a una condanna in terzo grado lo avrebbe potuto fare. Gli stessi padri costituenti, evocati fino alla noia dai 5 stelle durante la campagna referendaria per il No, intendevano l’articolo 66 come un giudizio da parte del Parlamento, e non una semplice e più debole verifica o presa d’atto. Come ricorda il costituzionalista ed ex senatore del Pd Stefano Ceccanti sul Sole 24 Ore, Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente, nel 1946 affermò “la Camera ha una sovranità che non tollera neppure nelle cose di minore importanza una qualsiasi limitazione. Potrà trattarsi di una posizione di carattere simbolico; tuttavia essa significa che ogni intromissione, sia pure della magistratura, è da evitarsi”.  Ma i pentastellati hanno commesso anche un altro errore sulla vicenda: hanno scritto infatti di “quarto grado di giudizio”, sul blog di Beppe Grillo. Il voto delle camere pone tuttavia l’attenzione sull’ineleggibilità e l’incompatibilità dei propri componenti, e non sulla sentenza passata in giudicato che rimarrà operativa e dovrà essere scontata anche da Minzolini.

Luigi Di Maio si confonde nell’interpretazione, in realtà piuttosto chiara, della legge Severino ed arriva addirittura ad affermare – sbagliando, concedendogli il beneficio del dubbio – che il Parlamento è fuori legge. Non sarà che l’esame mancante al giovane studente fuoricorso sia proprio quello di diritto costituzionale?

Le bufale dei complottisti sul bonus degli 80 euro

ARTICOLO PUBBLICATO SU IL FOGLIO L’ 01/03/2017


È capitato di leggere anche a voi riguardo alcuni contribuenti che avrebbero dovuto restituire il bonus ottanta euro dal momento che Matteo Renzi non ha più bisogno di voti? È falso, semplicemente. Sia Matteo Salvini su Twitter che Luigi Di Maio con un post su Facebook hanno alimentato l’ipotesi complottista, senza alcun fondamento. Una polemica del tutto simile a quella divampata negli anni scorsi, puntualmente smentita.

Il casus belli? Ogni anno il Ministero dell’Economia pubblica le statistiche sulle dichiarazioni dei redditi, come accaduto ieri con questo comunicato relativo al 2015. In un’epoca differente dalla post-verità i giornali avrebbero sottolineato la buona notizia sull’aumento del reddito complessivo medio del 1,3 per cento (a fronte di solo mezzo punto percentuale di tasso di inflazione). La notizia diviene invece la restituzione degli ottanta euro richiesta a circa 1,7 milioni di contribuenti (sui 11,9 milioni beneficiari totali): di questi 966 mila hanno restituito il bonus integralmente, gli altri 765 mila solo in parte.

Per comprenderne i motivi è necessario un passo indietro. Il bonus – introdotto per la prima volta con il decreto 66/2014 dal governo Renzi – consiste in un credito di imposta sull’Irpef destinato ai lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi, sostanzialmente uno sconto fiscale per la categoria di contribuenti meno agiati. Nello specifico, coloro che dichiarano un reddito annuale compreso tra 8.174 e 24 mila ricevono gli ottanta euro mensili; a chi invece guadagna fra 24 mila e 26 mila è corrisposto un bonus di importo ridotto e proporzionale, fino a diminuire a zero oltre il tetto dei 26 mila euro. Al di sotto degli 8.174 euro si è considerati incapienti, cioè non contribuenti di alcuna tassa sul reddito (come quindi avere uno sconto su tasse che non si pagano?), al di sopra dei 26 mila euro il Parlamento ha ritenuto che gli ottanta euro non fossero più necessari ai fini della redistribuzione della ricchezza.

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Tabella riassuntiva di Forexinfo.it

Torniamo quindi alle restituzioni. Il bonus viene accreditato di mese in mese direttamente in busta paga dal datore di lavoro, che tuttavia non può conoscere con certezza quale sarà il reddito annuale definitivo del lavoratore, che si potrà definire solamente alla dichiarazione dei redditi. Chi perciò è ai limiti della fascia beneficiaria spesso si trova a dover restituire il bonus, o a vederselo accreditare inaspettatamente. Già, grazie al meccanismo arzigogolato appena descritto c’è anche chi viene premiato, oltre a chi deve restituire quanto non gli è più dovuto. In particolare, a fronte di 1,7 milioni restituzioni, nel 2015 si sono verificati 1,5 milioni versamenti inaspettati. Ecco quindi che le dichiarazioni complottiste iniziano a perdere fondamento.

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Dati in milioni di contribuenti (da rilevare la leggera differenza dei beneficiari totali del bonus negli anni 2014 e 2015) – fonte MEF

Ma c’è di più. I casi in cui un lavoratore debba restituire interamente il bonus sono tre: il reddito annuale si è rivelato inferiore alla soglia di incapienza di poco superiore agli 8 mila euro, il reddito si è rivelato superiore a 26 mila euro facendo decadere il diritto allo sconto, oppure è stato commesso un errore da parte del contribuente o da parte dell’Agenzia delle Entrate nella compilazione dei redditi. Concentriamoci sui primi due casi, di gran lunga più diffusi. Secondo i dati del Ministero dell’Economia coloro che si sono rivelati più poveri di quanto credessero ad inizio anno sono stati nel 2015 438 mila; al contrario i casi di coloro si sono scoperti più ricchi ed hanno superato la soglia massima superano il mezzo milione. Sono più numerose le situazioni di revoca provocate da un arricchimento insperato piuttosto che da un minor reddito rispetto a quanto programmato: letta così non appare a dire il vero una cattiva notizia. E non è finita qui. Chi è obbligato a restituire gli ottanta euro per un impoverimento rispetto alle attese – quindi il primo caso – ha comunque diritto ad un rimborso delle imposte pagate. È infatti diventato incapiente e si trova perciò nella paradossale situazione di dover restituire il bonus ma diventare nel frattempo creditore nei confronti dello stato per tutta l’Irpef versata nel corso dell’anno. Sentiamo già il rumore delle unghie sugli specchi da parte di chi già gridava allo scandalo.

Certo, vedersi obbligati a restituire 960 euro – accumulati mese dopo mese – in un’unica rata per via di un disguido burocratico non è piacevole. Altri critici, tra cui il deputato Giuseppe Civati, sottolineano infatti che sarebbe stato più efficace utilizzare l’indicatore Isee e maggiore progressività nell’attuare la norma. In questo modo si sarebbe evitato ai contribuenti il balzello di fine anno delle restituzioni-accreditamenti inaspettati.

Una strana serata di fine estate

È l’1.47 e sono appena tornato al mio B&B dopo la festa del Meet-Up di Brescia. Inutile dire che abbiamo discusso fino ad adesso di politica, trovandoci quasi mai d’accordo.

Tutto ha inizio quando – quasi per caso – apro qualche giorno fa la schermata “Altro” nei messaggi di Facebook. Talvolta è sempre bene darci una controllata, mi è già purtroppo capitato di perdere occasioni e messaggi importanti finiti proprio in quell’angolo digitale così poco visibile. E leggo così con sorpresa il messaggio di Adriano Nitto, assistente del Senatore del Movimento 5 Stelle Vito Crimi, che mi invita ad intervistare il Vicepresidente della Camera perché ne uscisse una “conversazione libera, senza filtri e vivace”. Dapprima con qualche titubanza, poi via via sempre con più entusiasmo, accetto l’invito per l’intervista. Per un’unica ragione: a partire da chi mi ha fisicamente invitato fino ad arrivare allo stesso Luigi Di Maio tutti sanno bene di non invitare un ragazzo elettore di M5S, né vicino alle sue posizione politiche (come viene ribadito anche qui sul Trentino). E nonostante questo, o forse proprio per questo, mi hanno mandato il loro invito, per dimostrare l’apprezzamento riguardo ciò che successe al Prati.

In realtà non sapevo esattamente cosa aspettarmi, ho ricevuto parecchi messaggi calorosi dopo il post pubblicato su Facebook da Di Maio, ma non immaginavo ancora come sarebbero state accolte le mie critiche al Movimento, se come normale dialettica politica o come uno sgarbo nei confronti di chi era stato così gentile da invitarmi. E il rischio di venire strumentalizzato, come in parte è accaduto con l’interrogazione parlamentare dell’Onorevole Fraccaro, è inoltre sempre dietro l’angolo.

https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2FLuigiDiMaio%2Fposts%2F892965010740046&width=650

L’intervista era stata preparata insieme ad altri due ragazzi – studenti di giurisprudenza a Brescia – che sono felice di poter dire che ormai sono diventati degli amici. Dopo una veloce prova delle domande ci prepariamo per la cena. E passato qualche minuto arriva proprio Di Maio che si siede al nostro tavolo ed inizia a porci qualche domanda sulla nostra vita, e noi a lui. Al di là di ogni giudizio politico posso riconoscere la serietà e la disponibilità di un ragazzo di 29 anni che è diventato il più giovane Vicepresidente della Camera di sempre: rare volte – soprattutto in incontri pubblici – interloquendo con un politico di qualunque schieramento mi è capitato di poter contare su tutta la sua attenzione e di non venir interrotto da qualcun altro che gli si avvicinava. Con lui è accaduto, nonostante la fila di persone che avrebbero desiderato farsi una foto insieme a lui.

Poi ecco che arriva il momento dell’intervista: si sale sul palco – con la solita giusta agitazione -, la presentatrice racconta la storia del 7 in condotta e dopo di me salgono Stefano e Giorgio, i ragazzi con cui ho preparato l’intervista (come potete vedere dal video a partire dal minuto 16:15). Di seguito potete leggere le domande che abbiamo posto a Luigi Di Maio.


1. Quale sogno ha spinto il giovane Luigi di Maio a mettersi in gioco e a fare politica e perché farlo proprio nelle fila di M5S?

2. Vorremmo ora procedere in questo modo con l’intervista. Immaginiamo che il M5S sia sul punto di andare al Governo dopo aver vinto le elezioni, ci deve rispondere in modo sintetico e concreto su quali sarebbero le vostre decisioni politiche per ognuno di questi temi. Innanzitutto però ci dici come si muoverebbe per “scegliere” il Presidente del Consiglio e i diversi Ministri.
Arrivato al Governo invece cosa farebbe in concreto su questi temi:
  • Scuola;
  • Risollevare il Sud;
  • Patto di Stabilità;
  • Gestione nazionale dei flussi migratori.
3. Secondo il rapporto “Doing business” del 2015 le imprese italiane ogni anno subiscono una tassazione totale pari al 65,4%, contro il 48,8% in Germania, il 33,7% del Regno Unito ed il 25,9% dell’Irlanda, paesi tutt’altro che appartenenti al Terzo Mondo e nei quali i diritti dei lavoratori sono simili ai nostri. Per diminuire questa percentuale cosa ritieni si debba fare?

E poi, scusami, un’altra domanda che mi viene ora spontanea: al di là dei tecnicismi un ragazzo di 20 anni come noi che si trova in un Paese con la pressione fiscale tanto alta, con una disoccupazione giovanile ai massimi storici, che le dicesse che vuole andare all’estero per cercare maggiore fortuna, pensi che varrebbe la pena convincerlo a restare? E se sì cosa gli diresti per farlo?

4. Quale è la risposta che il M5S dà alla politica di austerity imposta all’Europa e cosa ne pensi riguardo un’unione monetaria non sostenuta da un’unione fiscale e soprattutto politica, la quale spesso non permette di affrontare con decisione temi sensibili come quello sempre attuale della gestione dei flussi migratori?

5. Molte volte quando mi sono rivolto a elettori ed esponenti del Movimento 5 Stelle mi è stato detto da loro che avrei dovuto “aprire gli occhi” e solo allora mi sarei accorto della vera natura dei politici italiani e di conseguenza avrei votato il Movimento. Non ritiene che un atteggiamento di questo tipo, che denota la diffusa convinzione di essere i detentori della verità, non vi allontani da potenziali elettori che non sono ancora convinti delle vostre posizioni politiche? La vostra è certo una forte convinzione in quello che dite e fate, e questo vi fa onore, ma a volte questa convinzione può assomigliare quasi a una fede. Cosa commenti di fronte ad un’affermazione simile?


Certo, non è stata esattamente l’intervista che speravo. In alcuni passaggi l’impressione era di assistere più ad un comizio che ad un’intervista – con Di Maio in piedi che cercava (e otteneva) gli applausi della platea – ma è un rischio da mettere in conto ad una festa di un soggetto politico e con una platea così omogenea. Terminate le nostre domande una voce amplificata si è sentita alle nostre spalle. Era Beppe Grillo in persona che faceva la sua visita a sorpresa alla festa del Meet-Up. E non si può certo non riconoscergli la maestria nell’arte della retorica: in quasi mezz’ora ha rinvigorito la platea e non ha sbagliato una parola. Sapeva esattamente cosa dire e come dirlo. Un vero show-man.

L’intervento di Beppe Grillo

Ma la vera sorpresa non è stata l’intervista, né l’intervento di Beppe Grillo. La vera sorpresa è stato l’attimo successivo alla discesa dal palco. Una decina di attivisti del Movimento mi si sono fermati attorno per rispondere alle mie perplessità a proposito di alcune scelte di M5S che avevo espresso durante l’intervista. Una lunga discussione, fatta di toni accesi e piccole ammissioni da entrambe le parti. Sono stato addirittura additato di essere un “piddino”, e temo non si trattasse esattamente di un complimento. Siamo però sempre riusciti a raggiungere una sintesi. Credo di non aver incontrato mai tante persone così (auto)critiche nei confronti del Movimento – ed in parte di Beppe Grillo – che alla festa del Meet-Up di Brescia: non perché si tratti di un covo di dissidenti, ma perché ho riscontrato uno spirito critico ed autocritico che non mi aspettavo. Non è infatti esattamente la prima caratteristica che viene in mente quando si pensa all’attivista 5 Stelle stereotipato (certo anche per colpa di alcune infelici uscite dei suoi esponenti).

Non avevo alcuna idea di cosa aspettarmi appena sceso dal treno alla stazione di Brescia. Ora invece so che la base del Movimento 5 Stelle vive la partecipazione politica facendo parte di una grande famiglia, in cui non si distinguono militanti semplici e Parlamentari. Gente comune e – fino a prova contraria – onesta, come dimostrato fin qui dalla mancanza di inchieste e scandali nei loro confronti. Probabilmente non voterò mai il Movimento 5 Stelle in vita mia, ma sono felice di sapere che i miei avversari politici sono capaci di tanta umanità, semplicità e passione. È un bene per la democrazia.

Chapeau.